Arturo Mariani, classe 1993, è un giovane romano nato senza una gamba; le sue più grandi passioni sono due, il calcio, attualmente è calciatore della Nazionale Italiana Calcio Amputati con cui ha giocato nel 2014 i Mondiali in Messico e la scrittura; “Nato così“, pubblicato nel luglio del 2015, è il suo primo libro autobiografico nel quale descrive la sua vita, partendo ancor prima di nascere, quando era ancora nel grembo della madre. Un libro ricco di valori e di forza di volontà, di esperienze e incontri; un messaggio di vita e speranza. A settembre è uscito “Vita Nova“, con la prefazione di Maurizio Costanzo, ed è il suo nuovo e secondo lavoro editoriale. Un viaggio nella storia, nel tempo e nella vita di 13 personaggi, famosi e non. Il libro si snoda alla ricerca di quel fatidico punto X che ha generato un cambiamento radicale nel percorso di ogni singolo personaggio.
Grazie a una serie di domande abbiamo cercato di conoscerlo un po’ meglio, di capire quali sono le difficoltà, le gioie e i dolori di una vita non semplice, ma ricca di sogni in cui il motto è andare sempre avanti per realizzarli.
- “Nato così” è l’autobiografia che racconta di te, del tuo percorso interiore, delle tue passioni, ma quand’è che hai sentito la necessità di mettere nero su bianco la tua storia e quindi di farla conoscere agli altri?
È stato un percorso graduale, durante l’adolescenza, mi piaceva fermare le emozioni di quello che vivevo e per me erano momenti speciali, scrivendo. Fino ad arrivare a maturare poi l’idea che la mia esperienza di vita pur nelle difficoltà e sofferenze, poteva essere un messaggio positivo e di speranza che nulla è impossibile e se si vogliono raggiungere degli obiettivi o realizzare dei sogni, di non arrendersi mai.
- La tua è senza dubbio stata un’infanzia non semplicissima, anche perché spesso quando si è piccoli non si riesce ad avere piena consapevolezza di ciò che ci accade. Che pensieri passavano per la tua testa di bambino quando vedevi e capivi di essere “diverso” dagli altri?
Ho vissuto la mia infanzia tra mille difficoltà quotidiane, essendo nato con una agenesia completa della gamba, avevo una protesi con presa dal bacino da un busto rigido, che mi creava disagi e dolori dappertutto. Cercavo di sopportare perché comunque mi permetteva di stare in piedi su due gambe e di “essere come gli altri”, almeno in apparenza. Ma ogni giorno quando uscivo per andare a scuola, il pensiero di doverla portare quelle cinque/sei ore di lezione, mi preoccupavano più di un compito in classe o una interrogazione e tornavo a casa distrutto. La mia diversità oltre a mettere in evidenza un mio limite, me ne creava anche altri spesso di relazione, gli sguardi diffidenti delle persone o i pregiudizi sulle mie reali possibilità, sono stati i veri muri da superare. Questo lentamente mi ha portata prendere coscienza che i limiti sono soprattutto nella nostra testa, così ho deciso di togliere quella protesi che mi imprigionava e mi impediva di mostrare Arturo per quello che era. In tutto questo percorso, la mia grande forza è stata la fede e la mia famiglia che mi ha sempre amato così come sono e ancora prima di nascere mi ha fatto sentire speciale, accompagnandomi sempre, nelle sconfitte e nelle vittorie di ogni giorno.
- Il calcio è senza alcun dubbio la tua grande passione, hai fatto la tua gavetta, e oggi giochi nella Nazionale Italiana Amputati. Che senso ha per te aver raggiunto questo traguardo?
Da quando ho messo la prima protesi e mosso i primi passi, il pallone è stato sempre il mio compagno di giochi, il mio campo di calcio era il terrazzo di casa mia o la strada con i miei amici, anche se ho praticato anche tanto nuoto e altri sport, calciare il pallone mi faceva sognare ma anche misurare con reali difficoltà della vita, cadere, rialzarsi e poi riprendere la corsa per arrivare a raggiungere l’obiettivo: fare goal! I mio grande “goal “ l’ho fatto con la Nazionale Amputati. Un sogno realizzato. È aver potuto dimostrare concretamente che tutti abbiamo una possibilità di realizzare i nostri sogni, l’importante è crederci ma soprattutto credere in se stessi perchè ognuno di noi ha in sè il suo 100 percento da tirare fuori per realizzare anche l’impossibile.
- Quanto oggi si deve fare, secondo te, per sensibilizzare sul tema della disabilità, per far comprendere che in realtà le differenze sono solo negli occhi di chi guarda?
Bisogna rivedere il principio sulla diversità che classifica per categorie umane i limiti di ogni uomo. Siamo diversi nei limiti, chi più chi meno, ma lo siamo anche nelle abilità e ognuno dovrebbe avere le possibilità di scoprirle ed esprimerle. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza. Io ho deciso di farlo portando la mia testimonianza di vita. Poi a partire dagli organi preposti, nell’abbattimento delle barriere architettoniche e generare una nuova cultura per abbattere soprattutto le barriere mentali, e in questo tutti possiamo diventare portatori di un messaggio nuovo.
- Che ti sentiresti di dire a un ragazzino o a una ragazzina che si trova nella tua stessa condizione? Qual è il messaggio che “Nato così” vuole gridare a squarcia gola?.
Dove ci sono tanti problemi (può sembrare assurdo) ci possono essere più soluzioni.
“Nato così” vuole gridare che: LA VITA È UN DONO E VA VISSUTA DA PROTAGONISTI… e come ha detto Papa Giovanni Paolo II, FATENE UN CAPOLAVORO!