Passare dalla vita alla morte viaggiando “in prima classe”
Il viaggio che voglio raccontare è un viaggio diverso da quelli che solitamente hanno come meta paesi esotici; quel treno merci, fermo sui binari, non portava verso nessuna spiaggia tropicale, non portava a nessun villaggio turistico…la sua destinazione grigia e dal sapore di morte si chiamava campo di concentramento. Illusi e convinti di giungere in campi di lavoro, migliaia di persone, tra ebrei, zingari, portatori di handicap, comunisti, omosessuali, tutti coloro che rappresentavano insomma la “feccia” della società, salirono su quei vagoni, ammassati, in abitacoli senza alcuna feritoia, se non qualche fessura tra le tavole sconnesse, senz’aria, senz’acqua, senza cibo… Sicuramente non un viaggio in prima classe; a centinaia uno sull’altro, senza la possibilità di poter espletare i propri bisogni fisiologici, se non in un angolo sotto lo sguardo atterrito del proprio vicino, tra l’odore di escrementi e dei cadaveri: sì di cadaveri, perché si moriva ancora prima di giungere a morire, per la fame, la sete, il caldo. Passarono i giorni, lenti: il sole si susseguiva alla luna, ma nulla si vedeva cambiare nel triste ed oscuro vagone, che silenzioso continuava il suo percorso. Venti o ventidue giorni, fino a quando una sera il portello venne aperto: aria, luce, tutti erano sbigottiti ed impauriti; le grida in una lingua sconosciuta erano la triste accoglienza destinata agli ospiti. Quei neri binari proseguivano poi fino dentro al campo… niente di tutto quello che un viaggiatore si sarebbe immaginato: ciminiere fumanti, capannoni, filo spinato tutto intorno, un cielo nero, denso di oscuri presagi… Non dimentichiamolo mai: non tutti i viaggi hanno come destinazione la felicità.
I racconti del genocidio che hanno coinvolto circa sei milioni di ebrei e di altri “diversi”, hanno riempito le pagine dei libri: descrizioni ed agghiaccianti ricordi dei sopravvissuti, nelle cui parole, ricche di terrore, rivivono i momenti di una parte della storia dell’umanità, i cui contorni, a tinte oscure, tendono ancora oggi ad opprimere la coscienza collettiva.
Tra i tanti testi sull’argomento, vi consiglio Il farmacista di Auschwitz (Garzanti 2009 € 18,60) scritto da Dieter Schlesak che è uno dei libri che riferisce fatti oggettivi e parole realmente dette da vittime e carnefici, con una raccolta di testimonianze, documenti e deposizioni che riportano alla mente l’orrore ed impediscono di dimenticare.
Amalia Papasidero
Tratto da Tempovissuto.it