Giugno 11, 2015

La peggiore atrocità commessa dai nazisti sugli ebrei non sta nemmeno nei campi di sterminio e nei forni crematori. Sta nei “treni della morte”.

Arnaud Rykner con il suo romanzo Il vagone (Mondadori, 2012), racconta uno degli orrori più grandi mai visti prima: il viaggio di tanti deportati verso i lager nazisti, dove ognuno, strappato alla propria vita, si avvia, tra un altalenare di orrori, in contro alla morte.
Non è facile raccontare come l’essere umano possa diventare il feroce aguzzino dei suoi simili, ma è giusto, sacrosanto, che le nuove generazioni sappiano, comprendano le motivazioni di uno sterminio, che purtroppo motivazioni reali non ne ha, come tutti gli stermini.

Il vagone, attraverso la voce narrante del protagonista, restituisce la fotografia di quello che sarà l’ultimo viaggio verso Dachau, di uomini, donne, anziani e bambini, che avevano un’unica colpa, quella di essere ebrei (ovviamente la persecuzione nazista non avviene solo nei loro confronti, ma anche contro oppositori politici, rom, prostitute, omosessuali, invalidi, ecc.): un treno costituito da ventidue vagoni, riempito con 2.166 persone ammassate come bestie, lascia la stazione di Compiègne, in Francia, il 2 luglio 1944; il tragitto, che in condizioni normali richiederebbe una giornata di viaggio, si trasforma in una odissea di settantadue ore, in cui a causa del terribile caldo, si verificheranno le situazioni più atroci (la gente muore per la mancanza di acqua, di aria, non può espletare i propri bisogni fisiologici se non in un secchio che sta in un angolo e pur di riuscire a sopravvivere è pronta a tutto, anche ad ammazzare a sangue freddo i propri compagni di sventura).

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Ogni singolo minuto raccontato è come un pugno nello stomaco, ogni singola lacrima versata a causa dell’inumanità che si va a creare in quei terribili tre giorni di viaggio, restituisce al lettore l’immagine di ciò che è stato lo sterminio nazista: odio, volontà di annientamento dei più deboli, delle minoranze, in risposta all’ossessiva idea di una perfezione e di una purezza di razza che avrebbe dovuto rendere la Germania il Paese più potente del mondo. In realtà, si trattava solo delle farneticazioni di un folle che, nel tentativo di distruggere etnie e individui indifesi, ha ottenuto l’effetto contrario, condannandosi e condannando tutti coloro che gli erano stati accanto a rappresentare una delle macchie più orribili della storia contemporanea.

Non esiste una giustificazione e sicuramente non è possibile cogliere, dalla semplice lettura di un racconto o dall’ascolto delle storie dei sopravvissuti, ciò che sia stata davvero la deportazione: i cosiddetti “treni della morte“, erano l’anticamera dell’inferno, perché in essi si iniziava a perdere la dignità, che veniva completamente annientata all’arrivo nei lager, per tutte quelli che riuscivano a rimanere in vita (dei 2.166 solo 500).

Non bisogna chiudere gli occhi, anche se è passato molto tempo, occorre sapere, essere consapevoli,  non solo per impedire che ciò si ripeta, perché l’essere umano nel male, potrebbe riuscire a superare se stesso, ma anche per comprendere che l’animo di ogni individuo possiede un lato oscuro incapace di cogliere il buono che lo circonda.

autore di questa pagina:

Amalia Papasidero

Amalia Papasidero, editor, correttore di bozze, consulente letterario e blogger. Ha conseguito il master in “Tradizione e innovazione nell’editoria. Dal libro all’e-book” presso l’Università della Calabria.
Gestisce il sito web www.scritturaedintorni.it (che ha ottenuto l’accredito stampa presso il Festival della letteratura di Mantova nel 2016), che si occupa di ciò che ruota attorno al mondo della scrittura e offre numerose risorse e servizi per gli autori. Organizza eventi letterari e culturali (presentazioni librarie e musicali, campagne di sensibilizzazione su temi sociali). Ha da poco pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Riflessi”. Tiene corsi di scrittura e self-publishing, workshop sulle tematiche legate alla narrazione.

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