Lo scopo dello scrittore è quello di “sedurre” il lettore, di spiazzarlo, di catturare la sua attenzione, pertanto la parte iniziale di un testo acquisisce grandissima importanza. E spesso la cosa migliore è di non entrare subito nella storia, raccontando il meno possibile, allo scopo di creare attesa e curiosità.

Infatti, il lettore è un soggetto molto particolare, deve trovare accattivante uno scritto, occorre che provi empatia con un racconto, un personaggio; è molto esigente, chiede allo scrittore di farlo sognare, di catapultarlo in un mondo fantastico, diverso, migliore; chiede all’autore di aiutarlo a viaggiare, anche se solo con la fantasia e tutto questo prende il via proprio dall’incipit.

Ma che cos’è l’incipit e come va creato affinché possa generare interesse in chi legge?

L’incipit (ìnčipit› v. lat. [3a pers. sing. dell’indic. pres. di incipĕre «incominciare»; quindi propr. «incomincia»]) è la parte iniziale di un testo che ha lo scopo di incuriosire, di introdurre in quella che sarà la narrazione vera e propria (a volte si potrebbe avere l’incipit in medias res, conducendo il lettore al centro di una vicenda già in atto – basti pensare all’inizio de “La metamorfosi” di Franz Kafka, in cui la storia prende avvio dalla trasformazione del protagonista Gregor Samsa in uno scarafaggio: “Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante“) e può avere una lunghezza variabile, poiché non esiste una regola precisa da seguire (può essere lungo due righe, venti righe, mezza pagina, due pagine, ecc.).

Qui di seguito ecco alcuni incipit di famosi romanzi:

Maggio 1860
“Nunc et in hora mortis nostrae. Amen.”
La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; durante mezz’ora altre voci, frammiste, avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d’oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e durante quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre. (Tommasi di Lampedusa – Il Gattopardo)

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La famiglia Dashwood si era stabilita nel Sussex da molto tempo; le loro proprietà terriere erano vaste, e al centro sorgeva Norland Park, la residenza in cui per molte generazioni avevano vissuto in modo tanto rispettabile da essersi guadagnati la stima di tutti nei dintorni. L’ultimo proprietario era stato un vecchio scapolo, che aveva raggiunto un’età molto avanzata, e che per molti anni aveva avuto come compagna e direttrice della casa la propria sorella. Ma la morte di lei, avvenuta dieci anni prima della sua, aveva prodotto un gran cambiamento nella sua esistenza; perché, per sopperire alla perdita, aveva invitato e accolto in casa la famiglia del nipote, Henry Dashwood, che era l’erede legittimo della proprietà di Norland e la persona a cui lui intendeva lasciarla alla propria morte. (Jane Austen – Ragione e sentimento)

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Non c’era speranza per lui questa volta: era il terzo infarto. Sera dopo sera ero passato davanti alla casa (era vacanza) studiando il quadrato illuminato della finestra: e sera dopo sera l’avevo trovato illuminato nello stesso modo, di luce lieve e uniforme. Se era morto, pensavo, avrei visto il riflesso delle candele sulla tendina rossa, poiché sapevo che si dovevano mettere due candele al capezzale di un morto. Mi aveva detto: «Non sarà a lungo di questo mondo» e le sue parole mi erano sembrate oziose. Ora sapevo che erano vere. Ogni sera mentre fissavo la finestra in alto ripetevo piano la parola paralisi. Aveva sempre suonato strana alle mie orecchie, come la parola gnomone nella geometria e la parola simonia nel catechismo. Ma ora aveva per me un suono simile al nome di qualche essere malefico e colpevole. Mi riempiva di paura, eppure desideravo ardentemente esserle più vicino e contemplarne l’opera di morte… (James Joyce – Gente di Dublino – Le sorelle)

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Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo. (Lev Tolstoj – Anna Karenina)

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Questi esempi ci fanno capire come l’incipit possa avere, come già evidenziato, una lunghezza non stabilita e come abbia l’importante compito di far entrare il lettore all’interno dell’atmosfera e dell’ambientazione del racconto, prima di giungere alla storia vera e propria.

L’incipit, dunque, rappresenta la carta vincente di una storia e quell’elemento che può spingere il lettore a continuare il suo libro oppure a metterlo da parte. Qui di seguito due esempi di incipit tratti dal manuale di scrittura creativa di Roberto Cotroneo:

  • Es. 1:
    Marco aveva appena compiuto diciotto anni. E nulla avrebbe fatto pensare che la sua vita lo avrebbe portato ai mille successi che aveva sempre sognato. In pochi anni sarebbe diventato uno scrittore.
  • Es. 2:
    Diciotto anni non sono nulla, si era detto Marco. Mentre sfogliava ancora una volta quei trenta fogli scritti a mano, soltanto in due notti. Li guardò ancora. Pensò a suo padre, che lo voleva ingegnere. Pensò a quel romanzo. E per la prima volta sognò di poter leggere un libro stampato. Che portava il suo nome.

Appare evidente che il secondo è quello migliore: cattura l’attenzione, mi spinge a chiedermi cosa accadrà nel prosieguo della narrazione; non scopre troppo e quindi genera curiosità e risulta maggiormente coinvolgente.

Prima dell’incipit potrebbe essere inserito in un testo un prologo, un antefatto, vicino o lontano nel tempo, che dà origine al racconto.

Ovviamente, sia che si parli di incipit, che di qualunque altra parte del testo, è essenziale che il linguaggio utilizzato sia chiaro e lineare, il lettore non deve trovarsi costretto a rileggere più volte, e quindi a doversi soffermare troppo perché non riesce a seguire i ragionamenti dell’autore o perché la narrazione si presenta particolarmente ingarbugliata.

Riassumendo, per poter avere un incipit credibile e accattivante occorre seguire i seguenti punti:

  • Bisogna sapere creare attesa e curiosità nel lettore (in tal caso “dire e non dire” rappresenterà un quid pluris, poiché mi spingerà a voler continuare nella lettura per capire come la storia si evolverà);
  • Non bisogna soffermarsi sulla lunghezza (andranno bene anche poche righe a patto che siano coinvolgenti e contengano la giusta dose di mistero);
  • Occorre lavorarci con cura e attenzione (tale regola vale per ogni parte che compone la narrazione di una storia, poiché costruendo in maniera ottimale ogni singolo aspetto – descrizioni di luoghi, di oggetti, personaggi, ecc. – si potranno ottenere ottimi risultati;
  • L’incipit può essere in medias res (posso decidere che il mio inizio coincida con una vicenda già in atto nella narrazione che trasporti subito il mio lettore al centro di una precisa situazione, senza spiegargli il perché, situazione che sarà sviluppata successivamente);
  • L’incipit, come visto sopra, può essere preceduto da un prologo (ovviamente ogni inserimento e arricchimento che decido di realizzare nel mio testo deve essere funzionale e pertanto deve servire alla mia narrazione – se scriverà un romanzo storico, la presenza di un antefatto che spieghi la nascita di una casato o l’avvio di una guerra, prima dell’inizio della mia storia, potrebbe essere un espediente interessante);
  • L’incipit, come tutte le parti che costituiscono una storia, devono essere realizzate con un linguaggio lineare, chiaro e di immediata comprensione (quando si scrive occorre creare un legame con il lettore e non annoiarlo con giri di parole e con un linguaggio troppo ricercato – a meno che non si tratti di saggi o testi scientifici e di settore).

Ovviamente, tutti i consigli riguardanti l’utilizzo delle varie tecniche narrative e degli strumenti che vengono enumerati all’interno dei corsi di scrittura non devono essere visti come qualcosa di immutabile, di sacro e assolutamemte intoccabile; conoscere le modalità con cui costruire una storia mi possono aiutare nella sua realizzazione dandomi la possibilità di far rendere al meglio il mio testo, ma ciò non toglie che posso declinare il tutto in base alle mie necessità decidendo se modificare qualcosa od omettarla, poiché, ricordiamolo sempre, il momento creativo deve essere dettato dall’ispirazione che comunque non va mai rigidamente ingabbiata.

autore di questa pagina:

Amalia Papasidero

Amalia Papasidero, editor, correttore di bozze, consulente letterario e blogger. Ha conseguito il master in “Tradizione e innovazione nell’editoria. Dal libro all’e-book” presso l’Università della Calabria.
Gestisce il sito web www.scritturaedintorni.it (che ha ottenuto l’accredito stampa presso il Festival della letteratura di Mantova nel 2016), che si occupa di ciò che ruota attorno al mondo della scrittura e offre numerose risorse e servizi per gli autori. Organizza eventi letterari e culturali (presentazioni librarie e musicali, campagne di sensibilizzazione su temi sociali). Ha da poco pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Riflessi”. Tiene corsi di scrittura e self-publishing, workshop sulle tematiche legate alla narrazione.

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