Capita spesso, girando tra gli scaffali di una libreria, di osservare i vari titoli in essi contenuti, con la voglia di trovare quello diverso dal solito, che sia interessante, che possa davvero colpirti e trasportarti in un’altra atmosfera. Ed ecco che all’improvviso compare davanti agli occhi un libro, con un titolo capace di incuriosire a una prima lettura: “La fidanzata impiccata“.
Questo testo, composto da due parti, La fidanzata impiccata, appunto, e Il diario di Laura (Rubbettino), del talentuoso autore calabrese Fortunato Seminara, ha la capacità di catturare davvero l’attenzione del lettore, catapultandolo in una realtà diversa da quella di oggi, una realtà contadina, rurale, in cui al centro della storia vi è un borgo, il Poggio, dove vive il giovane Teodoro che possiede il suo podere e che trascorre le sue giornate tra il lavoro dei campi e la gestione del bestiame e la sua fidanzata, Laura, che vive in paese e che passa il suo tempo in attesa di sposarsi, osservando dalla finestra tutto quello che accade, dalle liti fra i giovani, ai corteggiamenti furtivi, fatti di occhiate e bigliettini.
Un libro, devo ammettere, sorprendente, in cui non c’è nulla di scontato, dove, dalla prima all’ultima pagina si trattiene il respiro per capire come andrà a finire la storia e quale sarà l’evoluzione delle vicende dei protagonisti.
Attorno a Teodoro e a Laura, ruotano altri personaggi, come il giovane misterioso che arriva al Poggio in cerca di un rifugio e di un lavoro, un abile cantante dalla voce melodiosa che incanta tutte le giovani della zona e la cui presenza farà saltare tutti gli equilibri.
Appare chiaro, fin dall’incipit, che Seminara ci racconta di un tempo ormai lontano, in cui l’amore veniva vissuto di nascosto, in cui le malelingue tessevano storie che potevano disonorare la reputazione delle fanciulle, in cui le attività legate alla terra erano viste come motivo di sostentamento di molte famiglie e il pensiero di abitare in città, fosse un modo per migliorare la propria vita, fare un salto di qualità.
Un romanzo immediato, dal lessico semplice, la cui costruzione porta il lettore, in maniera naturale a divorarne le pagine, rapito, appunto, da un’ambientazione ben resa dall’autore, che in fondo non fa altro che raccontare la vita dei contadini del’900, con il suo realismo tragico e arcaico.
Fortunato Seminara: cenni biografici
Nasce nel 1903 a Maropati, un piccolo centro della Piana di Gioia Tauro. Proveniente da una famiglia di origini contadine, si laurea in legge a Napoli nel 1927. Emigra poi in Svizzera dove aderisce al Partito Socialista. Nel 1932 torna nella sua Maropati stabilendosi definitivamente in Calabria. Qui, nella casa di Pescano, una piccola contrada del suo paese, lavora sino a quando, nel 1975, un incendio, molto probabilmente doloso, gliela distrugge insieme ai libri e ad alcuni manoscritti. È un duro colpo che si porterà dentro sino alla morte avvenuta il 1° maggio 1984, a Grosseto, in casa del figlio. Tra le sue opere ricordiamo: Le baracche (1942), Il vento nell’oliveto (1951), La masseria (1952), Disgrazia in casa Amato (1954).
Seminara può essere senz’altro considerato tra i più importanti scrittori meridionalisti del Novecento, assieme ad Alvaro, Strati, La Cava.
Italo Calvino, in occasione della sua morte, scrisse che nelle Baracche il neorealismo «si collegava più direttamente che in altri alla tradizione del verismo paesano meridionale» e che ciò che contraddistingueva Seminara «anima ricca di nobiltà e di ritegno», era «un ritmo interiore amaro e come tormentato da un oscuro rovello».