BIOGRAFIA
È nato a Roma nel 1970 (qualcuno sostiene nel 1870). Scrittore, critico enogastronomico, docente, condirettore editoriale del periodico «Il Turismo Culturale». Autore di romanzi, saggi, ricerche, guide e vincitore di diversi premi letterari, ha esordito nel 2006 con “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo”. L’originale noir sul rapporto cibo-nevrosi ha ottenuto in pochi mesi un grande successo di pubblico e di critica. Da qualche anno insegna comunicazione, tecniche di scrittura emozionale, editing, letteratura gastronomica e marketing territoriale. Nei minuti liberi continua a scarabocchiare e a chiedersi cosa fare da grande.
“Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo” (Edizioni della Meridiana, 2006)
“Chef & Gourmet. Diario semiserio di un grande cuoco e di un discreto buongustaio” (Daniela Piazza Editore, 2008)
“Guido. Diario di bordo di una famiglia che ama il mare” (NLF/Vandenberg Edizioni, 2010)
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INTERVISTA
1. Come nasce la tua passione per la scrittura e cosa vuol dire per te scrivere? Si tratta di un qualcosa che hai dovuto apprendere oppure è una capacità innata?
Tutto è nato con la lettera O. Da bambino ho imparato a farla con il bicchiere e in quel tratto lineare curvo che ambiva alla perfezione – senza mai peraltro raggiungerla – ho subito colto un moto di volontà, il senso dell’altro, il mistero, la memoria, i simboli e le prime inquietudini. Poi, con crescente curiosità, sono passato alle vocali; pagine e pagine di A, E, I, O, U, vergate a matita. Dal lapis alla penna a sfera il passo è stato breve. E giù consonanti. Fricative, occlusive, labiodentali, glottidali… Dopo i primi grafemi, ho iniziato a dedicarmi alle parole (quasi sempre) di senso compiuto, alla loro organizzazione, ai modi in cui le stesse danzavano sulla riga, si univano e formavano una frase (qualcuno la chiama “sintassi”), alle infinite combinazioni che mi permettevano di rendere, in forma scritta, tutto quello che la vita mi stava donando e che avrebbe continuato a donarmi. Qualcosa di innato deve esserci; non lo nascondo. Tutto il resto si gioca sulla capacita di “apprendere” (ricevere e ritenere nella mente, imparare, osservare, assimilare, fare esperienza, conoscere, scoprire, fare le O con il bicchiere, studiare, leggere, leggere, leggere) e, soprattutto, di “restituire”.
2. Parlaci del tuo ultimo libro e del messaggio che con esso hai voluto trasmettere.
“La strage dei congiuntivi” è un romanzo – non è un saggio, tranquillizzatevi – i cui protagonisti, invero bizzarri, si uniscono per mettere in atto un grande disegno criminoso a difesa estrema di una lingua (l’italiano) quotidianamente saccheggiata, vilipesa, mutilata, deturpata e ferita a morte. Sò, stò, po’… Qual’è con l’apostrofo, così come un’abbraccio e un’amico. Senpre, propio e pultroppo. Congiuntivi sbertucciati. Se io sarei, ci penserei. Congiuntivi sfigurati. E poi reggenze errate, verbi intransitivi tragicomicamente trasformati in transitivi, singolari invertiti con plurali, maiuscole con minuscole e maschili con femminili. E, ancora, accenti e apostrofi geneticamente modificati; k che prepensionano i digrammi ch, impianti desinenziali passati al tritacarne, segni di interpunzione trascurati o gettati a caso sulla pagina. Inutili sovrapproduzioni di avverbi, fastidiosi diminutivi iperbolici (un attimino, un cinemino, un sushino), insopportabili neologismi e forestierismi (attenzionare, efficientamento, skills, mood, light lunch e apericena), pleonasmi inutili, frasi fatte e luoghi comuni. Azione e… reazione. È così che è nato il mio romanzo. Per difendere, ridendoci sopra, la straordinaria bellezza della nostra lingua ed esaltarne identità, purezza e integrità; ma, al tempo stesso, per dileggiare (la saccenza, talvolta insopportabile, dei personaggi e i loro tratti caricaturali lo esplicitano in maniera fin troppo evidente) i talebani dell’italiano, i puristi-fuori-dal-tempo, i fanatici che ignorano l’evoluzione, le contaminazioni, l’apertura all’altro e tutti quelli che, come il sottoscritto, sarebbero disposti a uccidere per un congiuntivo invertito con un condizionale.
3. Progetti futuri? Dove ti porterà il tuo amore per la carta e la penna?
Intendendo il futuro secondo la più comune concezione lineare del tempo, sono certo di una sola cosa: quando avrò compiuto centodieci anni – la mia è una famiglia longeva – scriverò la mia autobiografia.
Intervento di Massimo Roscia a tg3 Linea Notte
4. Cosa consiglieresti a un adolescente che volesse avvicinarsi al mondo della scrittura?
Consiglierei di vivere mille vite in una, cibarsi bulimicamente di tutto quello che ci circonda, sfidare il tempo e lo spazio, essere eroi e antieroi, non lasciarsi spaventare dalla sindrome della pagina bianca, non aver paura di esporsi, essere giudicati e mettersi a nudo, farsi specchio (anche deformante), restituire, ridere, piangere, scrivere, vivere.