Alla scoperta di uno dei borghi calabresi più belli della Costa degli dei
Lungo la costa Tirrenica della Calabria, su un promontorio si erge la bellissima città di Pizzo dove, tra storia, cultura e tradizione, è possibile visitare non solo le sue vie, ma anche il suggestivo castello aragonese, ultima tappa della vita del re di Napoli, Gioacchino Murat. Una breve passeggiata che non può che riempire gli occhi e il cuore con il suo calore e il suo fascino.
- Arroccata su un promontorio, al centro del Golfo di sant’Eufemia, sorge la splendida città di Pizzo, un borgo in cui ogni singola pietra trasuda storia. Passeggiando lungo le sue strade che sanno di mare e dalle quali è possibile ammirare le acque trasparenti, si incontrano alcuni monumenti cittadini degni di nota tra cui la settecentesca Colleggiata di S. Giorgio a croce latina e con la facciata barocca.
- La città di Pizzo è anche un centro peschereccio, famoso per il tonno, l’ovotarica (bottarga di tonno) e per il tartufo, un gustoso e tipico gelato, in vari gusti, da assaporare, con lo sguardo rivolto alle sue splendide e sabbiose coste.
- Nella piazza principale di Pizzo, si erge la massiccia mole del quattrocentesco castello aragonese, legato al ricordo del re Gioacchino Murat. Il castello fu danneggiato dal terremoto del 1783 che ne distrusse le camere superiori; esse furono riedificate nel 1790 a cura e spese dell’Amministrazione Ducale.Oggi, alcune delle sue strutture sono andate perdute; mentre, per il resto, la costruzione conserva il suo aspetto originario.
- Il 13 ottobre 1815, nello strettissimo cortile del castello aragonese, veniva fucilato, da un plotone di guardie borboniche, l’ex sovrano del regno di Napoili, Gioacchino Murat. Cognato di Napoleone Bonaparte per averne sposata la sorella Carolina, tentò di essere un buon re per Napoli. Tuttavia, dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo le cose cambiarono anche per Gioacchino. Non rendendosi conto della situazione e che il sud dell’Italia non l’avrebbe più voluto, sbarcò a Pizzo, dove venne subito arrestato.
- Quando sbarcò a Pizzo, forse per fare maggiore colpo sui suoi ex sudditi, indossava una sfavillante divisa: abito azzurro, pantaloni candidi, una coccarda punteggiata da due brillanti sul cappello. Insieme al lui furono arrestati quelli che erano i resti delle sue armate: due generali, quattro capitani, tre tenenti, otto sergenti e nove soldati semplici.
- Rimane, di quegli ultimi istanti, la nobilissima lettera da lui scritta alla moglie e il ricordo della fierezza con cui volle comandare il plotone di esecuzione. E poiché i fucili dei soldati, intimiditi e commossi, lo avevano la prima volta risparmiato, dovette ordinare il fuoco per ben due volte, prima di cadere, fulminato da sette proiettili.
- Gioacchino non pensava che i Borboni lo avrebbero condannato a morte (i soli giudici per un re erano, a suo parere, solo Dio e il popolo), affrontò dunque con coraggio il plotone di esecuzione. Ordinò dunque di fare fuoco pronunciando le famose parole: Puntate al petto e rispettate il viso”.
- All’interno del castello, divenuto famoso per la fucilazione di Murat, sono presenti diversi ambienti, nei quali è possibile ripercorrere tutta la storia del re di Napoli, dalla prigionia fino alla fucilazione, potendo ammirare anche quelle che erano le armi , le armature, i dipinti, le celle in cui i prigionieri erano tenuti. Grazie all’ausilio di manichini che vestono le uniformi del periodo, è possibile davvero fare un tuffo nel passato, respirando l’aria e osservando ciò che Gioacchino respirò e vide, all’interno della fortezza.
- Il massiccio corpo quadrangolare del castello di Pizzo, con casematte e pianterreni, che scende perpendicolare sulla rupe dalla parte del mare, era dall’altra parte circondato da un fossato, sul quale il ponte levatoio e la porta, situati fra una delle torri rotonde, dalla parte di occidente, e la parte angolata, ne consentivano l’accesso. La fortezza era dotata di camminamenti che portavano fuori città ed era stata costruita allo scopo di difendere la costa dai barbareschi e “ad manutenendos cives in fide”.
- Sulla facciata c’è una lapide posta, a cura del comune, nel 1900. E’ dedicata “… alla memoria benedetta del re Gioacchino Murat, principe glorioso nella vita, impavido davanti alla morte”. Il suo corpo, trasportato nella chiesa Matrice di S.Giorgio Martire, fu sepolto in una fossa comune, al centro della chiesa, dove una pietra tombale ricorda in perpetuo il nome e la memoria d’un Re, che, come scrisse in un’epigrafe il Conte di Mosbourg, “seppe vincere, seppe regnare, seppe morire”.