Non si può descrivere ciò che provai a leggere quelle parole maledette.
Non si può.
Come si può raccontare di un mondo intero che si
frantuma in trecento secondi netti?
Trecento secondi.
Quelli che scandirono il passaggio dal prima al dopo.
Trecento secondi.
Tanti bastarono a togliermi i miei figli, il domani e il respiro
Si può passare, in pochi attimi, dalla normalità a vivere un tremendo incubo? Si può all’improvviso piombare in un oscuro baratro dal quale sembra non si riesca più a venir fuori?
La risposta è sì; la vita di un uomo qualunque può, senza preavviso, diventare un inferno, portandolo a perdere quanto di più caro ha al mondo, la sua famiglia.
Il romanzo Trecento secondi, di Patrizia Fortunati (2015, Falco Editore), racconta, con estrema lucidità e in maniera toccante, il percorso interiore e giudiziario di un padre come tanti che di punto in bianco si vede accusare, dalla donna che aveva scelto come compagna di vita, della più orribile atrocità: quella di aver molestato i propri figli.
Un calvario, una morte interiore colpisce Paolo, il protagonista, che nell’arco di pochissimo si vede strappare via ogni sogno, il motivo per cui alzarsi la mattina.
L’autrice mescola molto bene il racconto dei fatti e il travaglio interiore di uomo che si sente annullato, che viene additato da tutti come un mostro, come quell’essere che deve vergognarsi, quando in realtà non ha fatto nulla…
Trecento secondi è un libro molto intenso, molto piacevole, un romanzo che colpisce senza dubbio il lettore catapultandolo nella storia del protagonista, immergendolo in uno spaccato difficile eppure di grande attualità, perché è quello dei tanti padri soli, a volte accusati ingiustamente, che si ritrovano dopo la separazione a non avere un’esistenza degna di chiamarsi tale, che perdono tutto a livello materiale, casa, soldi, macchina e soprattutto la dignità. Un romanzo che fa riflettere sulle mille sfumature del comportamento umano, che induce a fare i conti con relazioni che dall’amore passano repentinamente all’odio, evidenziando la grandissima fragilità di ogni individuo che, a contatto con il dolore, reagisce nel modo che gli è proprio.
Non vi sono soluzioni alla sofferenza, ciascuno deve trovare la forza per portare avanti la sua personale battaglia; si tratta di una dura presa di coscienza, ma nulla, proprio nulla può far risalire dal fondo che una personale acquisizione di consapevolezza.
Leggere questo testo apre gli occhi, riporta alla luce una tematica, che come già detto, è troppe volte presente ma che non desta la giusta attenzione.