Nel 1999, l‘Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. È stata scelta come data il 25 novembre allo scopo di ricordare il sacrificio compiuto dalle sorelle Mirabal che, essendosi opposte al dittatore della Repubblica Dominicana, Rafael Leónidas Trujillo, furono, proprio in questo giorno del 1960, trucidate. Le tre donne, infatti, mentre si stavano recando a trovare i propri mariti in carcere, vennero fermate, torturate, bastonate e infine strangolate; furono poi gettate in un burrone a bordo della loro auto per simulare un incidente stradale.
Una giornata densa di significato, pertanto.
Il colore che rappresenta questa ricorrenza è l’arancione (Orange Day), ma in Italia ciò che simboleggia la lotta contro la violenza sulle donne sono le scarpe rosse (il tutto nasce dall’istallazione di un’artista messicana Elina Chauvet).
Vista l’estrema importanza di questa tematica e la necessità che ognuno di noi faccia qualcosa, ho voluto anche io dare il mio personale contributo, realizzando un breve racconto, Ricominciare, il cui obiettivo è incoraggiare le donne a rialzarsi, a denunciare, a cercare di venir fuori dal loro quotidiano inferno, per poter tornare a vivere una vita che sia degna di essere considerata tale.
Da questo racconto che parla della violenza sulle donne è stato realizzato un video, in cui la voce narrante è quella della bravissima e pluripremiata doppiatrice Laura Romano, che ha prestato la propria voce a tantissime star del cinema internazionale.
Violenza sulle donne: la normalità del dolore
Ecco il video. Subito dopo, la trascrizione integrale del racconto
Ricominciare
Piove. I tuoni rimbombano nella mia testa… sembrano colpirmi ovunque, sui lividi violacei che pulsano e mi rendono dolorante. Non so se è ancora giorno o è già notte… sono ore che sono riversa sul pavimento; i miei occhi sono sbarrati, svuotati da ogni lacrima, la mia voce è strozzata in gola, ogni mio singolo muscolo è contratto. Lui è uscito da un po’ sbattendo forte la porta; mi ha riempita di botte perché non era ancora pronta la cena.
Il ticchettio dell’orologio mi ricorda che il tempo sta trascorrendo; ogni volta è sempre la stessa storia: mi dico “lo lascerò”, “me ne andrò”, “basta”, “è finita”… ma poi, appena vedo comparire le lacrime sul suo viso, su quel viso che ho baciato mille e mille volte, che mi ha strappato tanti sorrisi, mi ridico: “non succederà più, mi ama, devo solo cercare di non farlo innervosire”.
Mi rialzo a fatica, non ne sono sicura, ma credo di avere un piede rotto. Mi trascino verso la finestra e mi appoggio al parapetto, iniziando a osservare la vita che, fuori dal mio quotidiano inferno, scorre; non avevo mai notato con attenzione ciò che mi circonda: una mamma sorride spingendo una carrozzina, due ragazzi, su di una panchina, si abbracciano guardandosi teneramente, un anziano cammina rinchiuso in se stesso fumando una pipa…
Ora lo vedo distintamente: la mia vita non è vita… è una continua apnea, è il correre verso ciò che non è, non è stato e, probabilmente, mai sarà…
D’improvviso un lampo: la mia mente comanda un corpo, il mio, martoriato dalle botte che, come un automa infila in un borsone le prime cose che gli capitano sotto mano. È come se non fossi io: mi guardo dall’esterno e non mi sembra vero che lo stia facendo. Mi trascino di qua e di là per la casa, piangendo, ridendo… dico addio a ciò che è stata la mia esistenza fino lì, iniziando a prefigurarmi un nuovo domani.
Strisciando con il piede gonfio, infilo un jeans e una camicetta, prendo la borsa, indosso gli occhiali da sole per coprire le occhiaie profonde, apro la porta e varco la soglia… non mi volto in dietro…
È finita… mai più botte, mai più lacrime, mai più dolore…
Il mio cuore ricomincia a battere mentre salgo sul piccolo taxi giallo che mi attende fuori.