Una panoramica per capire cosa significa studiare Creative Writing in un ambiente culturalmente ricco come Londra, dove i workshop di scrittura sono all’ordine del giorno, non solo nelle sontuose aule universitarie, ma anche nei centri culturali frequentati da un pubblico più variegato.

Ho guardato le parole che io stessa avevo scritto, convinta che fossero in qualche modo significative, interessanti, estremamente divertenti. Le ho osservate rincorrersi sui fogli bianchi, mentre la stampante del Sarah Lawrence College di New York le vomitava fuori, e mi sono sentita una stupida.

Cos’erano quelle banalità? Davvero io avevo scritto quello schifo, avevo addirittura intenzione di proporlo ai miei nuovi compagni di classe e soprattutto alla professoressa, una scrittrice nera la cui raccolta di racconti aveva vinto il Los Angeles Times Book Prize?

Ecco. Questa è, in breve, la sensazione che attanaglia qualsiasi aspirante scribacchino, pochi minuti, ore o settimane prima di presentare per la prima volta un proprio racconto a un gruppo di sconosciuti in uno dei famigerati workshop di scrittura creativa.

Non alla mamma o alla fidanzata, che si sperticherebbero in lodi d’ogni genere e se ne andrebbero in giro dichiarando di avere a che fare con il nuovo Franz Kafka.

Un workshop è quel luogo in cui un gruppo di sconosciuti tremendamente seri e impietosi si radunano per dimostrarti che a loro, dei tuoi nobili sentimenti da sensibilissimo scrittore, importa meno di zero.

Questa è la prima regola per l’aspirante scribacchino e studente di scrittura creativa, negli States, a Londra o nel nostro Bel Paese: prepararsi al peggio.

Sempre.

Amare la scrittura

In un interessante articolo sul New Yorker, il saggista americano Louis Menand ha dato una bella definizione del workshop di scrittura creativa: in caso accademico, non si tratta di una lezione in cui il professore espone una serie di nozioni di fronte ad una folla di studenti chini a prendere appunti, come accade nelle secolari aule universitarie italiane.

I corsi di scrittura creativa, ormai popolarissimi negli USA, nel Regno Unito e in tutti i paesi di lingua inglese, si sviluppano intorno al workshop, in cui uno scrittore, in veste di professore, media una discussione, definendo i tempi e i momenti in cui la lezione si articola.

Gli studenti leggono e analizzano i lavori dei loro compagni, fornendo poi quello che in inglese si chiama feedback, traducibile in senso letterale come riscontro.

Alcuni professori stabiliscono delle regole molto precise.

Per esempio, tutte le critiche ai racconti devono essere costruttive, quindi mai semplici apprezzamenti (da evitare le reazioni riassunte in una sola frase come I like/love/enjoy/hate …).

È importante suggerire sempre come migliorare, sperimentare, estendere, approfondire determinati concetti, momenti e scene del racconto. E poi, ovviamente, ci sono i consigli e i giudizi del professore, quelli che, per lo studente, contano di più.

Lo studente di scrittura creativa, insomma, dà in pasto il suo racconto a una classe piena di gente proveniente da tutto il mondo, pronta a decostruire, distruggere, notare la minima imprecisione e suggerire di stravolgere completamente scene che il povero scribacchino pensava di aver prodotto grazie alla divina ispirazione della più raffinata musa.

Tutto sommato, lo studente di scrittura creativa cammina consapevolmente verso il patibolo, pronto per essere strappato via di ogni certezza.

Scrittura creativa

Ma è proprio a questo che serve il workshop: a strappare via la certezza che quel racconto finirà nell’antologia dei capolavori del secolo.

Il workshop è il primo contatto dello scrittore con la realtà.

E alla realtà, dei racconti dell’aspirante scribacchino, non interessa più di tanto.

Spesso, per niente.

Ciononostante, le critiche e i consigli ricevuti durante il mio primo workshop di scrittura al Sarah Lawrence College di New York mi sono piaciuti a tal punto da decidere che avrei voluto studiare Scrittura Creativa per il resto della mia vita.

Pochi mesi dopo ho riempito un paio di valigie di vestiti e racconti scritti in un inglese discutibile e mi sono trasferita a Londra, dove ho cominciato un master in Scrittura Creativa.

Ed ecco qua la seconda lezione che uno studente impara da un workshop: un laboratorio di scrittura, anche il più breve, può spingere a prendere decisioni importanti.

Può spingere ad avere coraggio, a sperimentare, a prendere nuove direzioni, nella vita come nella scrittura.

Non mi soffermerò sul sempreverde dibattito riguardante l’effettiva utilità di un master in Creative Writing o un semplice gruppo di scrittura.

In una città come Londra, dove workshop e club sono moltissimi e la scelta è davvero vasta, la sovrabbondanza di risorse può essere destabilizzante, per il povero aspirante scribacchino. E alla fine, in effetti, forse ciò che conta è solo scrivere.

Per sfornare un racconto significativo, scritto con grazia, che sottoponga al pubblico un dubbio universale e sappia regalare personaggi indimenticabili, servono solo un computer, una sedia e – magari – una tazza di caffè.

Raramente un buon curriculum accademico o l’iscrizione a cinque prestigiosi gruppi di scrittura fanno la differenza. Ma studiare scrittura creativa in ambito universitario significa qualcosa di più che migliorare il curriculum.

Corsi di scrittura

Un “MA” in scrittura creativa insegna ad aprire la mente, a non soffermarsi mai su un solo genere o una sola cultura, a leggere tutto, gli emergenti, i classici, la letteratura impegnata e quella di genere, i libri di nicchia e i grandi best-seller.

Insegna che le parole, le frasi e i testi possono essere modificati, riletti, manipolati all’infinito, e insegna a essere uno scrittore coerente, a non accontentarsi mai della prima stesura o del personaggio che sembrava vivido e indimenticabile ma di cui a nessuno, tranne lo scribacchino che l’ha creato, importa molto.

Studiare scrittura creativa insegna cosa significhi far parte di un gruppo di persone che, pur avendo tutte lo stesso obiettivo, si approcciano alla letteratura e alla scrittura in modi completamente diversi.

Insegna che la vita dello scrittore è  fatta di consegne, ansia e sconforto, un po’ come la vita di ogni studente, solo che peggio.

I professori devono valutare lavori creativi, e questo ovviamente implica che non possano essere totalmente obiettivi nei loro giudizi, ma la scrittura, come molte altre arti, ha delle regole precise.

Regole che, prima di essere infrante, vanno conosciute, e che ovviamente cambiano nel corso del tempo come cambiano i canoni estetici.

Sempre Louis Menand ha detto che, se negli anni ’50 il mantra ripetuto nei programmi di scrittura creativa era “show don’t tell“, che in parole povere potrebbe essere riassunto con l’invito a non fare gli “spiegoni” e a lasciare che sia il lettore a capire.

Ma pochi anni dopo, il mantra in voga era “find your voice“, che invece suggerisce la ricerca di una certa originalità nella voce del singolo autore, che possa poi essere perfettamente riconoscibile agli occhi dei lettori.

Questi mantra sono tutt’oggi rivisti, confutati, modificati. Discuterne con professori che lavorano tutti i giorni su manoscritti che poi finiranno in mano alla Penguin Random House o saranno prodotti dai teatri londinesi aiuta sicuramente a capire che cosa significhi scrivere per professione al giorno d’oggi.

Certo, non tutti gli aspiranti scrittori decidono di intraprendere un percorso lungo, faticoso e costoso come un master. D’altra parte, non è necessario.

La grandezza di Londra sta nella disponibilità di risorse per tutti. Dai workshop singoli sulla stesura di un racconto nella sua struttura complessa, fino alle conferenze, le fiere e addirittura i ritiri per scrittori – solitamente molto costosi, si tratta di vacanze in bellissimi casolari scozzesi o irlandesi, dove scrittori pubblicati o giovani promesse si rinchiudono per un determinato periodo, con l’unico scopo di produrre quante battute possibile e di stare lontani, finalmente, dalla folla di Londra.

E poi, ci sono i gruppi e i club di scrittura. A Londra esistono addirittura i gruppi di scrittura di quartiere, dove persone di ogni età, professione e provenienza si riuniscono per condividere i propri lavori.

Il più grande dono che un workshop può dare è proprio quello più temuto: essere circondati da persone che, gratuitamente, leggono ciò che l’aspirante scribacchino qualunque scrive, anche la bozza più scadente e terribile di sempre, quella scarabocchiata sull’iPad, in metropolitana, dopo un giorno di schifo al lavoro.

I gruppi di scrittura di quartiere, come ne esistono tantissimi a Londra (London Writers’ Cafè, Newham Writers Workshop, Westminster Writers Group etc.), possono includere persone che leggono solo thriller di tendenza o romanzi di Nicholas Sparks.

O magari che non leggono racconti e scrivono solo sonetti. E forse, all’interno di un gruppo di scrittura di quartiere, l’aspirante scribacchino si imbatte nel talentuoso baciato dalla fortuna, quello le cui mani saettano sul foglio non appena la musa ispiratrice lo colpisce (ovvero sempre, anche durante l’esercizio più banale).

A volte, invece, incontra il tipo che non ha idea di come gestire i tempi verbali e non ha mai letto un libro in vita sua oltre Geronimo Stilton e la Piramide di Formaggio in quarta elementare. Perché, dunque, esporsi a tutti questi rischi?

A vedere il proprio lavoro e il proprio stile lacerati da persone completamente diverse?

Imparare a scrivere

La verità è che, a prescindere dalle ragioni per cui si scrive, che si desideri essere letti o meno, scrivere è in sé un’attività da praticare in solitudine. Questo non significa che lo scrittore sia un solitario: c’è un momento, vicino o lontano, in cui l’aspirante scribacchino decide di venir fuori.

Prende il coraggio con una mano, il troppo disprezzo o troppa considerazione dei propri lavori con l’altra, e li condivide. E questa è la chiave di un gruppo di scrittura: non è una questione di far leggere i propri pezzi, criticare i pezzi altrui, rispondere con giustificazioni e spiegazioni a chi mette in discussione un racconto.

Far parte di un gruppo di scrittura significa condividere, aiutarsi e lasciarsi aiutare con rispetto, umiltà e sincerità.

Nessuno esce da un gruppo di scrittura, che sia una master class con Zadie Smith o un gruppetto di scribacchini locali, con la certezza di avere in pugno un grande racconto che otterrà la pubblicazione.

L’unica certezza di un gruppo di scrittura è quella di essere riusciti a sottoporre il proprio lavoro e le proprie idee a un insieme di persone profondamente diverse le une dalle altre.

E in un’enorme città come Londra, dove tutti viaggiano in metropolitana con il viso nascosto dietro ai tabloid o gli occhi bassi sui telefonino, dove tutto accade in fretta e cambia ogni giorno, essere seduti intorno a un tavolo, di fianco a qualcuno che vuole leggere il tuo racconto, è uno dei più grandi doni che l’aspirante scribacchino possa chiedere.

 

autore di questa pagina:

Rachele Salvini

Mi chiamo Rachele Salvini, ho ventitré anni e ho cominciato a scrivere sia in Inglese che in Italiano durante un semestre presso il Sarah Lawrence College di New York, dove ho frequentato il mio primo workshop di scrittura. Tornata a casa, non ho più smesso di scrivere, e in Italia ho fondato la Jam Letteraria, un collettivo di "aspiranti scribacchini" livornesi. I miei racconti in Italiano sono stati premiati in alcuni concorsi letterari, mentre quelli in inglese sono stati pubblicati su Cultured Vultures, Five2One Magazine, The Machinery, The Fem Literary Magazine, Slasher Monster Magazine, The Wells Street Journal.
Il io blog è: rachelesalvini.wordpress.com

{"email":"Email address invalid","url":"Website address invalid","required":"Required field missing"}

Questi li hai letti?

Scelti per te...

>